Dopo due anni circa sono tornata in Ruanda nella mia veste di volontaria della Nolite Timere Onlus, un’associazione di Giugliano in Campania, in provincia di Napoli, che da quasi quindici anni ormai sostiene e promuove la “Cité des Jeunes de Nazareth”, voluta da Papa Giovanni Paolo II per accogliere i bambini orfani del terribile genocidio del 1994.

La “Cité des Jeunes de Nazareth” sorge a Mbare, a circa 50 km dalla capitale Kigali, nel luogo esatto dove l’8 settembre 1990 San Giovanni Paolo II celebrò la Santa Messa. Quel giorno, il Santo Padre mai avrebbe potuto immaginare che di lì  poco si sarebbe scatenato il genocidio più sanguinoso del Ventesimo Secolo!

Alcuni anni dopo quella celebrazione, S.E. Mons. Salvatore Pennacchio, Nunzio Apostolico in Ruanda dal 1999 al 2003, prese a cuore il progetto del Santo Padre e con l’aiuto di alcuni amici di vecchia data fondò l’Associazione Nolite Timere, per sostenere la “Cité des Jeunes de Nazareth” e assicurare ai bambini in condizioni di bisogno, soprattutto a quelli orfani o abbandonati, adeguate condizioni di vita. 

Grazie alla collaborazione dei volontari e all’aiuto prezioso dei nostri numerosi benefattori e sostenitori, la Nolite Timere Onlus riesce a sostenere ciascun bambino non solo economicamente, ma anche moralmente e spiritualmente. L’emozione di seguire anno dopo anno il percorso che porta un bambino a diventare un adulto è davvero straordinaria!

La Cité è molto grande: una bellissima Chiesa, otto blocchi di tre case ciascuno, le aule scolastiche, la cucina, il refettorio, il settore per le attività sportive (campetto da calcio e da basket) e la sala polivalente. Vi entrano e vi escono bambini e ragazzi, chi con i quaderni in mano, chi con i panni da stendere, qualcun altro perché sta semplicemente giocando o sgranocchiando qualcosa.

I nostri piccoli provengono da tutto il Paese. Sono le parrocchie a segnalare alle rispettive Diocesi i casi più difficili. E sono tanti, troppi, rispetto ai posti disponibili. Attualmente, e i dati sono aggiornati alla nostra ultima missione, ospitiamo circa 200 tra bambini e ragazzi.

La gestione quotidiana della struttura è affidata a cinque religiose appartenenti alla Congrégation des Soeurs Abizeramariya, fondata in Ruanda negli Anni Cinquanta, aiutate da una ventina di maman, come le chiamano qui, donne che assistono i bambini per tutte le loro necessità.

La loro gestione amministrativa è molto oculata, tanto che, ad esempio, su alcuni degli ettari su cui si estende il villaggio sorge una fattoria in cui si produce riso, patate e latte destinati alla vendita per sostenere l’opera.

«Tuttavia, le risorse non sono mai abbastanza», mi ha detto la Direttrice Suor Drocella durante la nostra ultima missione. «Vorremmo fare di più, accogliere più bimbi, e potremmo farlo costruendo altre case, ma al momento i finanziamenti non sono sufficienti».

Le missioni che organizziamo ogni anno, e a cui partecipano a rotazione ogni volta due o tre volontari, sono pensate anche per stare un po’ con i nostri bambini e ragazzi, giocare con loro, ascoltare i loro bisogni e le loro necessità, condividere i loro sogni e le loro speranze.

Le storie sono diverse, e magari non tutte riescono a trovare il  loro lieto fine, ma alla maggior parte dei nostri ragazzi riusciamo a garantire la possibilità di costruire un futuro migliore.

Le notizie che abbiamo raccolto sul campo nel corso della nostra ultima missione ci hanno molto confortato e dato una spinta ulteriore a fare sempre di più per questi ragazzi.

Georgette e Jean Paul, entrambi con storie molto difficili alle spalle, dopo aver terminato da noi gli studi superiori, sono riusciti ad ottenere una borsa di studio dal Governo Ruandese per frequentare la Science and Technology University di Kigali. Judith continua i suoi studi alla Business Informatic and Technology University, sempre nella capitale, ed è ormai al quarto anno. Gaudiose ha ottenuto un lavoro in uno degli alberghi della capitale e Clémentine e Claudette si sono sposate!

Di questi ragazzi e ragazze andiamo particolarmente fieri, perché sono stati tra i primi ad essere accolti nella nostra struttura, sono quindi “i più anziani” e, di conseguenza, quelli che più di altri portano nel loro cuore e nella loro anima le ferite del genocidio.

Jean Paul perse entrambi i genitori durante quei terribili mesi del 1994 ed è cresciuto con gli zii. Judith non ha avuto la stessa fortuna. Fu ritrovata abbracciata al fratellino da alcune suore della Diocesi di Nyundo. Costretta ad assistere allo sterminio di tutti i suoi parenti, a Judith occorsero diversi mesi solo per ricominciare a parlare. E’ stato solo grazie al grande amore delle suore di Nyundo prima e del personale della Cité des Jeunes Nazareth poi che è riuscita quasi completamente a ristabilirsi. Soffre tuttora di una leggera forma di epilessia, ma oggi è tutto sommato una ragazza che può guardare con fiducia al futuro.

Ovviamente, i nostri ospiti più piccoli non hanno vissuto, se non indirettamente, il genocidio e le sue tragiche conseguenze. Appartengono, però, a famiglie poverissime che ce li affidano perché non sarebbero in alcun modo in grado di prendersi cura di loro.

E’ il caso di Fiston, abbandonato piccolissimo dalla madre, che ci è stato portato dalla nonna, ormai troppo anziana per continuare a prendersi cura di lui, qualche anno fa. Un bimbo dagli occhi dolcissimi, con un modo di guardarti che dice tutto del suo bisogno di essere accolto e amato. Poi c’è Valentine, una bimba timidissima, capace però di ricambiare una carezza con un sorriso immenso!

Questa volta è stato particolarmente doloroso salutarli al termine della missione. Siamo riuscite a stento, Francesca, Rosa ed io, a trattenere le lacrime.

Mille pensieri hanno affollato la nostra mente. I loro sorrisi e la loro voglia di sorridere, di cantare e di ballare nonostante tutto. La loro grande curiosità, anche di sapere chi sono le persone che danno loro una mano, l’impegno che mettono negli studi. Poi, la forza incredibile e la generosità delle Suore che gestiscono la “Cité des Jeunes Nazareth”.

Ci vengono in mente le parole del Vangelo di Marco: “Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce”. Una persona che passa “per caso”, come ci racconta l’Evangelista, viene caricata di una croce non sua e la sua reazione è all’inizio di fastidio, non solo verso coloro che gli gettano il fardello sulle spalle, ma anche verso Gesù, che in quel momento non ha davvero nessuna colpa. Tuttavia, man mano che prosegue nel suo cammino, Simone sente che quel fardello non è poi così pesante. Più pesante è vedere un uomo che soffre in quel modo. A quel punto, il fastidio si trasforma in pena. Quando viene invitato dai Romani ad allontanarsi, Simone quasi non vuole farlo. Non vuole smettere di condividere il dolore e la sofferenza con Colui con il quale ha condiviso un tratto di cammino. Anche per noi è così, quasi non vogliamo andar via. Fa così bene al cuore dare una mano a chi è in difficoltà, a chi soffre. Dare conforto, sia pure per un breve lasso di tempo, come nel nostro caso, a dei bambini che hanno un peso già cosi grande da portare per le loro piccole spalle.

Amare qualcuno significa anche sostenerlo nel suo viaggio, mettersi accanto a lui senza fare domande. Sia pure solo per un tratto di strada.

E’ quello che cerchiamo di fare noi volontari della Nolite Timere sempre, ma in particolare ogni volta che andiamo laggiù in missione, con l’aiuto imprescindibile dei nostri tanti benefattori. Con l’impegno di continuare a farlo per ancora molti anni a venire, con l’aiuto di tutti! 

 

Teresa Caterino

Volontaria

Associazione Nolite Timere Onlus